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autore
brano
 
Cicerone
Della divinazione, II, 113
 
originale
 
113 Num igitur me cogis etiam fabulis credere? Quae delectationis habeant quantum voles, verbis sententiis numeris cantibus adiuventur; auctoritatem quidem nullam debemus nec fidem commenticiis rebus adiungere. Eodemque modo nec ego Publicio nescio cui nec Marciis vatibus nec Apollinis opertis credendum existimo; quorum partim ficta aperte, partim effutita temere numquam ne mediocri quidem cuiquam, non modo prudenti probata sunt.
 
traduzione
 
113 Mi costringi dunque anche a credere alle invenzioni delle tragedie? Esse arrecheranno diletto artistico quanto vorrai, si faranno ammirare per le parole, per le frasi, per i ritmi, per la musica; ma nessuna autorit? n? credibilit? dobbiamo attribuire a cose inventate. E allo stesso modo io sostengo che non si debba credere n? a quel tale ignoto Publilio n? ai vati Marcii n? agli enigmi di Apollo: alcune di queste profezie sono chiaramente delle invenzioni, altre sono state proferite senza discernimento; nessuno, neanche di mediocre levatura, vi ha creduto, meno ancora le persone dotate d'ingegno.
 

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